sabato 21 marzo 2009

Doris Salcedo_LuttoViolenzaPotere

Doris Salcedo

Doris Salcedo (1958, Bogotà. Vive a lavora a Bogotà) ha vissuto e vive in pieno le contraddizioni che affliggono la sua nazione, rimanendo attaccata, perciò, sin dagli esordi della sua carriera al contesto colombiano. La Colombia è un paese che vessa in uno stato di caos ed d’incertezza da decadi, dopo il mai paco shock della guerra civile; e che è deturpato dalle più moderne realtà della produzione e del traffico di droga.

Dai primi anni ’90 ad oggi il lavoro di Salcedo, attraverso originali procedimenti scultoreo-installativi rivolge la sua attenzione verso le forme di violenza che attanagliano la vita ordinaria del suo paese, nello sforzo di comprenderne e di visualizzarne gli effetti deleteri sulla singola persona, in quanto impotente testimone.

Più che “raccontare” la violenza in quanto tale a Salcedo interessa narrare, elaborandole con procedimenti psicoanalitici, le esperienze traumatiche di chi vive sulla propria pelle, sia singolarmente che collettivamente, il dramma del lutto. Pertanto le sue installazioni, avendo di mira la comunicazione della tragica esperienza della perdita (dell’abbandono), hanno come protagonista la figura dell’assenza: l’unica traccia di una memoria sofferente.

Quasi sempre le opere di Doris Salcedo prendono il via dall’ascolto delle storie da incubo raccontate da chi è sopravvissuto alla violenza e che è stato, dunque, al tempo stesso, testimone della scomparsa e dell’assassinio di persone a lui care. Pezzi di vecchia mobilia, logore scarpe usate, stralci di tessuti, frammenti di ossa, ecc., assolvono, assieme al cemento, a l’acciaio e ad al piombo, in un violento contrasto e/o accostamento, al ruolo di memento mori.

Nelle installazioni scultoree di Doris Salcedo non ci sono figure umane ma solo oggetti, ma il corpo non è per questo meno presente, anzi è proprio l’assenza di diretti referenti al corpo umano che rendono assai più pervasiva la presenza dello stesso: un corpo violato, frammentato, minaccioso, asfissiato, imprigionato, ecc.; muto testimone del male subito.

Untitled (1989-98) è una serie di opere ottenuti da mobili, logorati dall’uso, che vengono parzialmente riempiti di cemento. Frammenti calcificati di sedie, cassettoni, armadi o letti vengono assemblati e talvolta uniti a indumenti, in parte e quasi sempre bruciati, che stanno lì come testimoni silenziosi delle persone a cui appartenevano.

L’installazione Atrabiliarios (1991-96) è composta da file di nicchie nascoste da seta opaca e incassate nel muro, le quali contengono scarpe abbandonate, non nuove e non sempre appaiate. Questo fa sospettare che qualcosa di grave sia successo ai proprietari: presenze spettrali che evocano una vita umana scomparsa.

Per quanto riguarda la serie La casa vidua (1992-95), il nome richiama evidentemente a costruzioni che hanno perso chi vi abitava, e che d’ora in poi saranno “marchiate” da questa assenza, come , appunto, vedove. Si tratta di luoghi in cui è ormai impossibile abitare, costruiti con porte vecchie e pezzi di mobili sia in legno che in ferro.

Nel 1990 l’artista colombiana ha prodotto una serie di lavori che facevano diretto riferimento al massacro di lavoratori avvenuto nel 1988 presso le piantagioni di banana di La Honduras e La Negra; per il quale, gli uomini furono trascinati via dai loro letti e uccisi di fronte alle loro famiglie, sulle soglie delle loro case. Per la connessa installazione Doris Salcedo ha collocato una serie di reti di letti in ferro appoggiati sulla parete della galleria e mucchi di camicie piegate e appoggiate a terra, con un palo che le attraversava. Ancora una volta gli oggetti, nell’opera di Salcedo, diventano figure metonimiche per il corpo di un soggetto che non c’è più, la cui assenza si inscrive dolorosamente e indelebilmente nella memoria dei sui cari.

A Documenta 11 (2002) Salcedo ha contribuito con due installazioni Tenebrae, noviembre 7, 1985 (1999-200), e Noviembre 6 (2001) , entrambe si riferiscono allo stesso crudele evento: il 6 novembre 1985 un commando del movimento di guerriglieri colombiani M-19 ha fatto irruzione alla corte suprema di Bogotà, prendendo in ostaggio tutte le persone presenti nell’edificio. Senza alcun tentativo, vero e proprio, di negoziazione, l’esercito e le forze di polizia di stato hanno attaccato il palazzo con carri armati ed elicotteri, ecc.; dandolo alle fiamme. In tutto, morirono 53 tra i impiegati del dipartimento di giustizia e clienti; 11 giudici della corte e, tutti i 35 guerriglieri.

Noviembre 6 è una serie di sedie fatte di acciaio, legno, resina e piombo, sparpagliate nel luogo espositivo a loro adibito; non si tratta di ready-made puri bensì “aiutati”, le sedie e/o le loro componenti o sono parzialmente carbonizzate o deformate ed incastrate l’una nell’altra; a richiamare pezzi-frammenti di carne umana esplosa accatastati-intrecciati come il sinistro fato ha deciso.

Tenebrae, noviembre 7, 1985 consiste di uno spazio riempito parzialmente da pezzi di mobili carbonizzati accatastati l’uno sull’altro , e attraversato dal prolungamento minaccioso di due delle gambe di sedie deposte al pavimento; in tal modo è stato creato un nuovo ambiente; il quale, come chiaramente il titolo ci dice, rimanda al dove e al quando il dramma si è consumato. Dunque, se da una parte siamo invitati a vedere le sedie in quanto resti-frammenti dell’atroce evento, dall’altra questa stessa visione è possibile solo impedendoci l’accesso alla stanza che raduna, appunto le sedie di legno: lo spettatore è costretto ad assolvere al ruolo di impotente testimone, con un conseguente disagio morale non indifferente, e forse irrisolvibile.