domenica 9 novembre 2008

DamienHirst_CorpoMalattiaMorte

...la recente serie di Damien Hirst (1965, Bristol, Gran Bretagna. Vive e lavora a Londra) di monocromi neri formati da innumerevoli mosche incollate tra loro e sulla superficie annerita della tela, dall’artista chiamati fly paintings, affronta in maniera brutale il tema della morte; riferendosi a varie forme di tragiche pestilenze e flagelli. Nei fly paintings come Holocaust (2003), Genocide (2003), AIDS (2003), il ciclo di vita delle mosche è visto in parallelo a quello degli esseri umani. In sostanza si tratta di avvertimenti – quasi memento mori e/o vanitas – il cui scopo è quello di rendere lo spettatore conscio della grande quantità di morte che si consuma o che si è consumata in un certo arco temporale.
Per Hirst l’arte può curare, e forse anche meglio delle medicine. L’artista con i suoi medicine cabinetes, e come in tutti gli altri suoi lavori che fanno riferimento alla farmacologia, attacca in packaging dei medicinali, in quanto con le sue caratteristiche minimali e coloristiche, cerca di offrire un senso di affidabilità e di efficacia nei confronti del farmaco; ma così facendo tende ad obliare, ideologicamente, dalla mente del malato, il suo destino di morte. Lo stesso tema viene pure affrontato magnificamente nell’enorme vetrina specchiante e con struttura in acciaio inossidabile, sui cui scaffali sono disposte migliaia di pillole di gesso coloratissime, esposta alla 50° Biennale di Venezia: Standing Alone on the Precipice and Overlooking the Artic Wastlands of Pure Terror (1999- 2000).
Per quanto concerne il noto utilizzo di Damien Hirst di animali nelle sue opere, l’artista essendo interessato al fatto che tutto nella sua arte fosse reale, scarta ogni ipotesi di rappresentazione, e quindi, come in una sorta di ready-made rettificato utilizza animali morti di morte naturale e per poi porli in contenitori di vetro con formaldeide. Hirst ama l’aspetto della formaldeide in quanto possiede quel senso di tragedia delle cose che decadono, un tipo di decadenza immobile o quasi. Tra i primi lavori con animali in formaldeide ricordiamo il “pezzo” con i pesci Isolated Elements Swimming In the Same Directions for the Purpose of Understanding (1991), e lo squalo di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (1991). Il titolo di quest’ultimo lavoro è tratto da un espressione cui Hirst era solito usare per descrivere l’idea della morte a se stesso: la frase vuole cercare di descrivere l’impossibilità di percepire fisicamente la morte nella mente di un individuo vivo. Lo squalo in formaldeide genera una paura effettiva, ma al tempo stesso essendo morto, rassicura lo spettatore sulla sua incolumità fisica, creando in tal modo una maniera sublime di interrogarsi sul tema della morte.
Anaesthetics (and the Way they Affect the Mind and Body) (1991) è costituito da due recipienti di vetro contenenti soltanto formaldeide; ciò sottolinea come per Hirst il contenitore non è mai una semplice “scatola”: un contenitore trasparente basta da sé ad innescare una riflessione sulla decadenza del corpo umano, e dunque, ancora una volta, sull’ imprescindibilità delle evento tabù per eccellenza, quale è la morte. Del tutto speculare ad Anaesthetics (on the Way they Affect the Mind and Body) è Stimulants (and the Way they affect the mind and Body) (1991), il quale, però, differentemente dal primo è cosituito da due contenitori invece che da uno, i quali, tra l’altro, contengono due teschi di pecora.
In Away from the Flock (1994) il tema della morte si connota di significati religiosi. “Via dal gregge” vuol dire che la pecora è lontana dalla cose vive, dal gregge dei vivi: l’agnello in quanto vittima innocente. Il destino della morte è in agguato anche per chi è incolpevole e giovane; inoltre nella figura dell’agnello può essere visto Cristo, in quanto è nota la sua raffigurazione nella storia dell’arte, sotto le sembianze dello stesso animale.
Tutti i lavori di Hirst qui presi in esame partono dall’ inaccettabilità della morte:

E’ come se la morte fosse un difetto fondamentale del mondo. Credo che sia una concezione molto occidentale di vedere il mondo (…) Sembra anche piuttosto maleducato, la morte umana sembra maleducata. Ti chiedi perfino come sia possibile? Come puoi progettare qualcosa? Per quale motivo alzarsi dal letto, visto che c’è questo accidente che può capitarti in ogni momento e tu non puoi farci nulla? (…) Sembra solo una follia

A Thosand Years (1990-1991) è un recipiente in vetro e acciaio, che contiene una testa di bovino, delle mosche, larve, una graticola elettrica per gli insetti, zucchero, ed acqua. Durante il funzionamento dell’installazione le mosche vive si posano sulla testa di bovino morta, nutrendosene; e mentre svolazzano prima o poi finiscono, attratte dalla graticola elettrica, morte stecchite. Il lavoro sconcertante e narrativamente limpido concerne la casualità dell’esistenza, la precarietà della condizione umana. E’ un’opera contro l’antropocentrismo; fuori dai deliri di onnipotenza, l’uomo è ridotto ad un semplice insetto tra i tanti che popolano il mondo, il quale prima o poi finisce stroncato dalla morte: una vanitas contemporanea. Il titolo si riferisce ad un arco di tempo lungo il quale tantissima morte si è consumata, sotto l’indifferenza di “Dio”.
In Adam and Eve Banished from Paradise (2000-4), ponendo in discussione il senso di protettiva sicurezza che gli ambienti ospedalieri con le loro “rappresentazioni sceniche” cercano di ottenere sulle passioni dell’ammalato, Hirst concepisce il tema dell’attesa della morte nella prospettiva della storia dell’umanità.
La monumentale scultura di bronzo dipinto con acrilico, Hymn (1999-2000) sviscera il corpo umano mostrandoci analiticamente ciò che avviene in modo automatico al suo interno a nostra insaputa; e al contempo manifesta la fragilità del nostro fisico: da un momento all’altro qualcosa potrebbe non funzionare come dovrebbe, e la tragedia della malattia e/o della morte padroneggeranno ancora una volta. La scultura è una “inno” alla vita ma alla rovescia: si inneggia alla vita apportando nello spettatore la consapevolezza del decadimento del corpo umano; e grazie a questa consapevolezza avvertirlo che “conviene” vivere pienamente la vita in tutti i suoi aspetti.
Per Damien Hirst compito dell’arte è dire allo spettatore quello che egli non vorrebbe mai affrontare in prima persona; dichiara Hirst:

devi pensare proprio alle cose che la gente non vuole vedere. Sono le cose che la gente evita di vedere che tu devi mettere in una galleria d’arte

d.e.

giugno 2005

sabato 8 novembre 2008

....lascia una tua interpretazione ad una di queste immagini di opere d'arte che sono state postate

le opere sono volutamente prive di titolo e del nome dell'artista, affinché la tua interpretazione possa essere ancora più libera,...


d.e.

sabato 25 ottobre 2008

ExEtik

ExEtik è un blog sulle relazioni tra Etica, Arte ed Estetica, ed in particolare su quell'arte contemporanea che solleva sia questioni sociali che esistenziali, e dunque etiche.

Il titolo ExEtik è stato scelto poiché riteniamo che l'etica (Etik) una volta entrata nell'arte non è più tale, e quindi è Ex-Etica... Eppoi - e la cosa è palese - la parola ExEtik richiama al termine Estetica, che qui va intesa come riflessione sull'arte in genere, cosa, quest'ultima, che qui - nel nostro piccolo - ci proponiamo di fare.

Su ExEtik si parlerà di eventi, opere e, scritture varie che sollevano, esplicitamente o implicitamente, quesiti riguardo ai rapporti tra queste tre parole.

Si è aperto questo blog semplicemente perché si ritiene che, sebbene questi temi appartengono a tutti noi, se ne parla - a quanto ci è dato sapere - solo su riviste specializzate-accademiche...

è mezzanotte ed 15 min. del 25 ottobre 2008, e sto appena finendo di scrivere questa presentazione-introduzione... e devo dire che or ora mi sembra che forse lo scopo di questo blog non sarà per nulla semplice... ma a noi piacciono le cose semplici?

a presto